TRAMUTOLA Feudo del barone Abate di Cava Capitolo 7

foto arch A. Noviello

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Il sacco di Tramutola ad opera dei Saponaresi

A Tommaso III conte di Marsico, succede Antonio Sanseverino (1358-1384) che sposò Isabelle de Baux, figlia di Bertrando conte di Andria. Ad Antonio succede Tommaso IV di Sanseverino (1384-1387) e a Tommaso IV succede Ludovico Sanseverino (1387-1400).

Alla morte di Luigi di Taranto (1362), Giovanna riprende il potere in un groviglio di intrighi e corruzione, che la indussero a trovare un sostegno, sposando (1363) Giacomo III di Maiorca.

Verso la fine del 1362 senza alcuna causa ragionevole, armati con armi di diverso genere(1), i Saponaresi tormentati del progresso di Tramutola, lo invasero e minacciando sterminio e morte agli abitanti, rapirono quanto più poterono, bovi, asini ed altre cose di non poco valore. I Tramutolesi presi alla sprovvista non avevano potuto opporre resistenza, alla prepotenza dei Saponaresi uniti ai Marsicani e agli abitanti di Montesano, né imporre con la forza la restituzione del mal tolto.

Forse, alla stessa ragione storica dell’ incursione, si deve far risalire anche la distruzione definitiva con l’abbandono della Vecchia Tramutola, ad opera di chi aveva organizzato il sacco della Tramutola Nuova. Il feudo della Vecchia Tramutola, già posseduto da Dionisio de Argisio alias Mazziotta da Marsico, che fu medico maggiore del re di Napoli Carlo II d’Angiò (7 gennaio 1285-8 maggio 1309)(2), era situato al lembo estremo di sud-est, in confine con il territorio di Saponara. Dionisio de Argisio possedeva per giusto titolo e legittima causa il feudo nobile e Casale di Tramutola Vecchia, situato in contrada Monticello in Provincia di Basilicata, con proprio territorio e difesa dell’acqua di Tramutola, con guardia, torre, diritti e giurisdizione. Morto Dioniso de Argisio, il feudo fu devoluto al conte di Marsico(3), essendo il casale divenuto disabitato per incursioni di malviventi, quindi senza sudditi.

Inseguito, il re Roberto I d’Angiò (8 maggio 1309-16 gennaio 1343), vendeva il feudo di Acqua Tramutola o Tramutola Vecchia, essendo il casale divenuto disabitato per incursioni di malviventi, ad Emilio Del Balzo, signore in quel tempo di Saponara, il quale, a sua volta con l’assenso del re lo vendé, insieme ad altri beni posseduti a Saponara, a Malco De Alspizio da Seminara (Calabria) e da costui il 1357, passò con i beni stessi, in potere di Nicodemo Gannella. Del casale della ” Tramutola Vecchia” ho trattato più diffusamente quando ho esposto le questioni giurisdizionali tra la Nuova Tramutola e Saponara(4).

Il Feudo di Tramutola Nuova e il Feudo di Tramutola Vecchia, interessavano ai conti di Marsico, in quanto contigui e posti quasi al centro della loro contea, i Sanseverino volevano sentirsi liberi di poter viaggiare da Marsico a Saponara e verso le Calabrie, senza mai uscire dai loro possedimenti. Il Feudo di Tramutola Nuova fu sempre oggetto di prepotenza e, a vicende alterne, ritenevano i Sanseverino conveniente restituire al monastero di Cava. Il casale Tramutola Vecchia costituiva un suffeudo che i conti di Marsico tenevano nel proprio territorio all’estremità di sud-est ai confini con il territorio di Saponara.

Dopo aver subito l’invasione dei Saponaresi, i Tramutolesi fecero ricorso alla regina Giovanna I,  inviandole un dettagliato rapporto dell’invasione e del saccheggio. Al rapporto dei Tramutolesi per il saccheggio subito, la regina Giovanna I, con lettera del 10 aprile 1363(5), dopo aver riferito sugli orrori del sacco di Tramutola, protestava che non poteva sopportare che dei sudditi fedeli fossero impunemente maltrattati e derubati e tanto meno che a tali eccessi si potesse giungere contro le persone ecclesiastiche e la Chiesa. Da ciò si desume che neppure i sacerdoti e le chiese si salvarono dal furore dei Saponaresi. La regina impose ai bajuli di Saponara, Montesano e Marsico che sotto la pena di 500 once d’oro, facessero immediatamente restituite ai Tramutolesi, quanto era stato loro rubato o l’equivalente.

La lettera reale dovette ottenere certamente il suo effetto, perché i Tramutolesi furono reintegrati nei loro averi, non solo, ma garantiti da ulteriori assalti da parte dei Saponaresi. L’incursione subita e il timore di pericolosi briganti che trovavano asilo nei boschi circostanti la Val d’Agri, consentì facilmente all’abate di Cava, cedere il feudo Tramutola al conte Sanseverino di Marsico, con il peso di 25 once d’oro. L’abate Maynerio (2 ottobre 1340-settembre 1366) argomentò questa decisione e cessione, in quanto senza milizia, difficilmente potevano, i monaci, difendere i loro sudditi dall’attacco dei masnadieri che infestavano tutta la zona. E’ vero che in quei tempi frequenti erano le aggressioni da parte di bande armate irregolari, ma non è improbabile che vi sia stata la “mano” dei Sanseverino, in quanto che, subito dopo la lettera della regina, l’abate di Cava, si appoggia sempre più alla potente famiglia, padrona dei migliori feudi di Basilicata e Puglia. La terra di Tramutola, aveva un forte significato per i Sanseverino, in quanto quel territorio costituiva una punta avanzata verso Saponara, altro feudo di loro proprietà, essendo un luogo strategico di importanza particolare per la vicinanza alla strada di collegamento tra il mar Tirreno e lo Ionio, come detto sopra.

Il conte di Marsico appartenente alla famiglia Sanseverino era tra le più potenti del regno e l’aver ad essi affidato il feudo di Tramutola, fece si che il nostro paese dovette seguire tutte le sorti dei Sanseverino. Questi, partecipando attivamente a tutte le varie e intricate vicende politiche, che specialmente in quei tempi laceravano il regno di Napoli, ora salivano in auge e in potenza e ora per subiti rovesci e mutamenti avevano a patire prigionie, esili, confische e morti. Per cui nelle guerre di successione al trono di Napoli, se da una parte il loro appoggio a una dinastia o all’altra portava talora questa al governo, spesso subivano rovesci di fortuna. Tutto questo influì grandemente sulle sorti di Tramutola, mutando profondamente il rapporto tra la’ premurosa sudditanza tra i Tramutolesi e i monaci benedettini, perché traditi nel momento di maggior bisogno e a nulla valsero le giustificazioni dell’abate Maynerio (2ottobre 1340-settembre 1366) che da lontano con le solo armi spirituali non potevano difendere Tramutola. Di conseguenza, ridottosi Tramutola, sotto la protezione dei conti Sanseverino di Marsico, questi vi esercitarono tutti i diritti feudali.

Giacomo III di Maiorca, marito di Giovanna, pretendendo un ruolo di governo, fu arrestato e, dopo la sua morte, nel 1375, Giovanna I trovò (1376) in un uomo d’arme come Ottone di Brunswick un marito che, nominato principe di Taranto ma escluso dalla successione, fu capace di garantire la sicurezza sua e dello Stato.

Giovanna, in mancanza di eredi e su suggerimento del papa avignonese Clemente VII aveva adottato Luigi I d’Angiò, fratello del re di Francia Carlo V, e nominato duca di Calabria (1380). La qualcosa destò il risentimento del re d’Ungheria, il quale giunto in Italia e fatta imprigionare ed assassinare la regina, si insediò nel regno di Napoli (1382) col nome di Carlo III di Durazzo.

La scomparsa di Giovanna I d’Angiò (1381) pone fine alla dinastia angioina del regno di Napoli.
Durante il regno di Giovanna, oltre alla firma del Trattato di Avignone, si era verificato il suo sostegno, nel corso dello scisma d’Occidente, all’antipapa Clemente VII con conseguente scomunica, del 1380, da parte del papa Urbano VI (Bartolomeo Frignano, 1378-89) che favorì l’avvento al trono di Carlo III di Durazzo.

L’archivio della badia di cava ha conservato numerosi documenti della vicenda che subì l’esercizio di questi diritti in Tramutola, da parte dei conti di Marsico. Così i Tramutolesi pagarono ben cara la protezione del potente signore di Marsico, il quale per fortuna non ebbe ad esercitare per lungo tempo, il suo dominio su Tramutola, perché avendo alla morte di Carlo III di Durazzo detto della Pace (12 maggio 1382-24 febbraio 1386), parteggiato, come tutti i Sanseverino per Luigi d’Angiò, Ludovico Sanseverino (1387-1400) si ribellò a Ladislao I (24 febbraio 1386-agosto 1414), figlio e successore del defunto re. Così nell’anno 1390, Ladislao I (24 febbraio 1386-6 agosto 1414) figlio di Carlo III di Durazzo, spogliò il conte Ludovico Sanseverino e suo discendente (Giovanni Sanseverino (1400-1445) di tutti i suoi beni e possedimenti e lo cercò a morte e non sarebbe egli sfuggito alla tragica sorte se insieme ai conti di Nardò e Lauria non fosse riuscito a chiudersi nell’inespugnabile castello di Taranto, ove rimase prigioniero sino alla morte di Ladislao I, avvenuta il 1414. C’è da ricordare che re Ladislao I, riuscì ad imprigionare undici persone della famiglia Sanseverino, che avevano preso le parti di Luigi II d’Angiò e, dopo un sommario giudizio, li fece strangolare in Castelnuovo di Napoli, sede , oggi, del consiglio comunale di Napoli(6). Tutto questo influì grandemente sulle sorti di Tramutola, perciò viene spontaneo chiedersi se le condizioni di vita degli abitanti del Casale Tramutola, vassalli di un ente ecclesiastico, siano state migliori di quelle dei vassalli di feudatari laici. Probabilmente fino al XIII secolo si, in quanto che quasi tutti gli abati di Cava sono venerati come santi. I coloni di Tramutola, erano obbligati a servirsi dei molini e dei forni del Monastero di Cava, posseduti in Tramutola, ma non si possono negare i vantaggi che ne ricavavano in quando che i casali gestiti dalla Badia di Cava avevano uno sbocco assicurato alle eccedenze dei prodotti, dato che la Badia aveva flotta propria attrezzata  e commercio e depositi nelle grandi città, che consentivano di avere in Tramutola prodotti sconosciuti altrove. L’abate cavense, benché feudatario era esente dal fornire soldati al sovrano e quindi i coloni erano a loro volta dispensati dal servizio militare e dall’imposta sostitutiva. Tale privilegio è già riconosciuto da Carlo I d’Angiò nel 1278, quando richiede ai suoi giudici, notizie sul numero dei soldati di cui poteva disporre(7).

All’abate Maynerio successe l’abate Golferio (settembre 1366-gennaio 1374); Antonio (febbraio 1374-1379). L’abate Pietro rimase in carica pochi mesi (1379-1379) poi fu deposto. Così inizia un periodo di reggenza amministrativa che dura quattro anni con Riccardo de Ruggiero (1379-1383 amministratore reggente). Poi verrà nominato abate Ligorio Maiorino (1383-7 agosto 1394) che rimane in carica fino al 7 agosto 1394, quando sarà nominato arcivescovo di Salerno e poi inizia il periodo del vescovado di Cava(8).

 

 

 

 

(1) Leone Mattei Ceresoli – Tra mutola Cenni storici ricavati dall’Archivio Cavese – copia del 31/10/1932 presso di me.

(2) cfr. Atto d’investitura del Feudo di “Acqua Tra mutola” da parte di Ruggero San Severino del 1357-Archivio Comunale di Tra mutola.

(3) Il Feudo di Tra mutola Vecchio – Potenza Soc. AN. TIP. EDITRICE “giornale di Lucania” 1935 – XIII Estensore Cav. Francesco Saverio Pecci ex Segretario del Comune.

(4) Vincenzo Petrocelli – Storia di confini e relazioni municipali. Il Giardino di Azimonti EDIZIONI aprile 2014.

(5) Carlo Palestina – L’arcidiocesi di Potenza Muro Marsico – Appendice Documentaria – volume III.

(6) Mazziotti M. La Baronia del Cilento, Ripamonti, Roma 1904.

(7) Carlo Palestina – L’arcidiocesi di Potenza Muro Marsico – Clero e popolo – volume II.

(8) Massimo Buchicchio, Cronotassi degli Abati della Santissima Trinità di La Cava. Cava dei Tirreni 2010.

 Vincenzo Petrocelliil dolore si combatte con

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